domenica 20 aprile 2008

COME IMPEDIRE I PROCESSI PILOTATI E TRUCCATI

Attraverso l’abolizione della discrezionalità nella nomina dei magistrati
e con la sanzione di nullità



Gli arbìtri e gli abusi che spesso appaiono come veri e propri tentativi golpisti di una grigia cordata di magistrati frustrati che si coprono l’un l’altro, reclamano misure ben più energiche ed appropriate della pur necessaria separazione delle carriere e personalità diverse da avvocati che possano essere condizionati dalla preoccupazione di dover esercitare nuovamente la professione al termine del mandato ministeriale o da magistrati che non avrebbero la sufficiente autonomia dall’ordine di appartenenza e dallo spirito di casta e colleganza. Tra i nomi che circolano, il più adatto, anche perchè non é né avvocato né magistrato, é quello del sen. Roberto Castelli. Che, però, dovrebbe includere tra i Suoi consiglieri ed esperti anche chi, si perdoni la presunzione e l’autocandidatura, come il sottoscritto, é stato processato ed assolto ventisei volte “perché il fatto non sussiste”, tratto agli arresti domiciliari per ben due volte per oltraggio a magistrato in udienza ed a pubblici ufficiali, ha rinunciato per ben due volte alla prescrizione ed all’amnistia in processi conclusi, sempre, con la formula più ampia di assoluzione. Ritengo che si potrebbero sbugiardare - come neppure il Presidente Berlusconi ed il sen. Castelli hanno, finora fatto, perché, probabilmente non immaginano che certe toghe sporche possano essere giunte a fare quanto appresso accennerò - quei magistrati che ancora tentano di scrivere commedie sull’inattuato principio della precostituzione del giudice naturale, omettendo di dire che la violazione di tale principio non é, in realtà, sanzionata, per cui il capo dell’ufficio può pilotare i procedimenti ed i processi a suo piacimento, assegnandoli ai colleghi che ritiene “più affidabili” e che possono garantirgli il risultato voluto, magari per favorire gli amici o gli amici degli amici. Ma vi é di più. Si é giunti al punto di processare, come é capitato a chi scrive, addirittura per interruzione di pubblico servizio, chi, presentando un ricorso per ricusazione del Giudice che non ritiene quello naturale, pretende di farsi giudicare da quello previsto dalle tabelle approvate dal CSM. Anche tale processo si é, ovviamente, concluso con un’assoluzione e con l’immagine di un’intimidazione rivolta al sottoscritto che aveva osato contestare con la ricusazione i criteri di assegnazione dei procedimenti. Senza dire, poi, che alcuni magistrati hanno escogitato misure ancora più pericolose ed “efficaci” degli arresti per bloccare gli antagonisti ed i contestatori. Sono le vendite dei beni e le sentenze di fallimento emesse, addirittura contro persone che risultano creditori di coloro i quali hanno presentato le istanze di fallimento. Sono tornati, insomma i Tibunali Speciali e le confische dei beni degli avversari, misure che i regimi totalitari e le dittature hanno usato ed usano per sopravvivere e puntellarsi. Di tutto questo posso fornire ampie prove. Le esperienze e le indagini da me effettuate sono a disposizione del nuovo Presidente del Consiglio e del nuovo Ministro della Giustizia, sicuro che dinanzi a tale mole di arbitri, documentalmente provati, si eviterebbe di intralciare una seria riforma della Giustizia anche da parte dei Magistrati più seri e che non usano la giurisdizione per interessi privati o per fare mercato. Il sen. Castelli ha, certamente buona volontà, ma non deve credere che la sua riforma é efficace solo perché molti magistrati fingono di criticarla. La sua riforma, per quanto sopra dedotto, deve essere integrata con norme che, concretamente, vietino ai capi degli uffici di assegnare a piacimento i procedimenti e prevedano sanzioni di nullità per le violazioni. Solo così si potrà evitare che i processi vengano pilotati e che la Magistratura venga ulteriormente politicizzata.
Per evitare, poi, che vengano usate come spauracchio le sentenze di fallimento, é urgente riformare in modo serio la legge fallimentare, prevedendo che la sentenza di fallimento possa essere pronunciata solo se l’istante il fallimento prova che il suo credito é stato accertato attraverso un provvedimento giurisdizionale definitivo e se ha provato, sempre con un titolo certo e definitivo, che il patrimonio del debitore non é capiente.
Luigi Di Napoli, presidente del Movimento Giuristi Democratici
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